Assolto dopo quasi 13 anni perché il fatto non sussiste. Il protagonista è Robert Delishi detto Benny, oggi imprenditore 40enne titolare di una ditta di idraulica, assolto dall’accusa di tentato omicidio. I fatti risalgono al 2008 e sono accaduti a Ospedalicchio, frazione di Bastia Umbra. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, all’origine della sparatoria ci sarebbe stata una lite, forse per futili motivi, scoppiata tra un gruppo di albanesi. Dopo un primo ‘scontro’, il gruppo si è diviso: i due giovani albanesi presi di mira, infatti, si sarebbero diretti verso la piazza di Ospedalicchio e si sarebbero fermati al bar, mentre gli altri quattro sarebbero andati ad ad armarsi. Secondo l’accusa il quartetto era in possesso “di una pistola calibro 7,65” e “dopo essersi fermati con la jeep (che secondo l’accusa apparteneva a Delishi, ndr) scesi dal mezzo tentavano di cagionare la morte di una persona” rimasta sconosciuta. Un tentato omicidio sventato perché la persona “all’indirizzo della quale esplodevano una cartuccia la cui ogiva colpiva l’autovettura Bmw 735 targata … che era parcheggiata nella zona” riusciva a dileguarsi nel buio subito dopo il primo colpo. Il secondo colpo non arrivava e il delitto non si compiva nonostante gli “atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere l’omicidio, evento non verificatosi per cause indipendenti dalle proprie volontà”.
Tredici anni dopo i giudici del secondo collegio penale di Perugia (Verola, Grassi e Lochi a latere) hanno pronunciato l’assoluzione ex articolo 530 per l’imprenditore, difeso dagli avvocati Delfo Berretti (che in aula nell’ultima udienza ha pronunciato l’arringa finale) e Luca Maori; Delishi era l’unico imputato, e si è sempre dichiarato estraneo ai fatti. Un risultato non scontato, anche visto che i testimoni dieci anni dopo non avevano spesso la stessa certezza di prima (e in alcuni casi sono persino svaniti), le accuse si sono dissolte e le certezze sul modello dell’auto e sulla dinamica dei fatti non erano più così solide. Tra i testimoni convocati al processo, alcuni sono risultati irreperibili, i due uomini accusati di concorso nel reato non sono mai stati identificati. Nelle maglie del processo era rimasto solo l’imputato che si è sempre dichiarato estraneo ai fatti.
La difesa ha potuto dimostrare che l’imprenditore aveva avuto effettivamente una lite – considerata il movente del tentato omicidio – ma si era già riappacificato con l’altro. La difesa ha puntato a dimostrare che tutte le testimonianze e le prove portate a carico dell’imputato erano di natura indiziaria e le testimonianze spesso in contraddizione tra loro: abbastanza per escludere la colpevolezza “oltre ogni ragionevale dubbio” . Ad esempio non è emerso alcun dato oggettivo capace di collocare l’imputato – che si è sempre proclamato innocente – all’ora del delitto sulla scena del crimine, né, in relazione all’auto scura di grossa cilindrata vista sopraggiungere a tutta velocità, è mai stato, nel corso del procedimento, che si trattasse di quella di proprietà dell’imprenditore.
“Non può sottacersi – scrivono gli avvocati Luca Maori e Delfo Berretti che difendevano l’imputato ricordando che se la legge ammette l’assoluzione di un imputato è contraria alla condanna di un innocente – un elemento essenziale nell’ambito del presente procedimento: se da un lato, non è stato possibile nel caso di specie accertare, alla luce delle risultanze processuali, da parte di chi fu esploso il colpo, dall’altro, ancor di più, non può non evidenziarsi come non sia stata individuata alcuna persona offesa all’indirizzo della quale sarebbe stato esploso detto colpo di pistola e che dovrebbe configurarsi come destinatario degli atti diretti in modo non equivoco a cagionare l’evento”.
Inoltre, “non è stato possibile individuare se i colpi di pistola furono esplosi o meno ad altezza uomo, non essendo state rintracciate tracce materiali concernenti l’ogiva esplosa (in assenza di accertamenti tecnici dai quali si sarebbero potuti eventualmente rilevare componenti dell’innesco e delle polveri di lancio dei proiettili di arma da fuoco – es. guanto di paraffina), né essendo stato possibile desumere, sia dai rilievi di polizia giudiziaria che dalle dichiarazioni dei testimoni, l’esatta dinamica di svolgimento del tiro. A tutto voler concedere, dunque, anche sotto tale profilo, la generica, indiscutibile, idoneità di un’arma da fuoco – mai, peraltro, rinvenuta – a cagionare la morte di un uomo, non permette, tuttavia, di affermare che nella condotta specificamente posta in essere siano ravvisabili gli elementi essenziali del delitto di tentato omicidio“. Di qui l’assoluzione.
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