Gli operai Colussi dicono sì all’accordo raggiunto all’alba del 16 novembre: con una maggioranza bulgara – 292 sì, 96 no e 9 schede tra nulle e bianche – i lavoratori accettano quanto uscito giovedì 16 novembre al termine di una maratona notturna tra sindacati/rsu e l’azienda.
L’accordo raggiunto è oggettivamente un punto di caduta a metà tra le richieste dell’azienda e quelle dei lavoratori: in sintesi, per “motivi strutturali e di riorganizzazione del lavoro”, invece dei 125 licenziamenti collettivi annunciati (115 operai, cinque impiegati e cinque impiegati della Sogesti) Colussi licenzierà 64 lavoratori, con priorità (fermo restando le esigenze tecniche e produttive) per i dipendenti che non si opporranno al licenziamento e a quelli che, anche attraverso la Naspi, la nuova assicurazione sociale per l’impiego, potranno accedere alla pensione.
Ai dipendenti della Colussi licenziati, andranno 7.000 euro in caso di requisito per il pensionamento, 20.000 euro negli altri casi. Verranno quindi salvati 59 dipendenti, 56 dei quali (quelli addetti ai reparti produttivi) lavoreranno previo un nuovo modello organizzativo; l’azienda, inoltre, avvierà un programma quadriennale di formazione e/o riqualificazione professionale per una “maggiore polivalenza e polifunzionalità dei lavoratori” e ha chiesto la disponibilità a una riduzione dell’orario di lavoro a livello volontario a 32 ore.
“Siamo soddisfatti per la partecipazione e per l’esito dello scrutinio – dice Massimo Morelli della segreteria provinciale Ugl e rsu della Colussi – non ci aspettavano questa maggioranza così larga, ma gli operai hanno capito che l’accordo raggiunto era il minore dei mali. Ora vigileremo sui licenziamenti e rimarremo vicini a chi resterà senza lavoro”. “Durante la trattativa – aggiunge Dario Bruschi Fai Cisl alla Nazione Umbria del 17 novembre – i punti più critici sono stati l’organizzazione del lavoro dentro lo stabilimento e la riduzione del numero di esuberi. Da 125 siamo scesi a 59, con una decina di pensionabili nel giro di due anni. Certo siamo riusciti a ridurre l’impatto sociale degli esuberi, ma resta comunque l’amaro in bocca”. “Abbiamo fatto il massimo – dice Daniele Marcaccioli (Uila Uil) – Un accordo che include licenziamenti non è mai un motivo di vanto per il sindacato. Ma credo che se non avessimo sottoscritto questa intesa, la china che avrebbe preso la questione, sarebbe stata ben diversa”.
“Fai, Flai e Uila ringraziano tutti i lavoratori della Colussi per la scelta responsabile che hanno fatto, e che insieme alle Organizzazioni Sindacali, obbliga l’azienda ad un rigoroso rispetto di quanto è stato sottoscritto. Investimenti, Formazione e una organizzazione del lavoro che riconosca il ruolo del lavoratore e il suo lavoro, sono lo spirito che ha guidato la trattativa”. Fai, Flai e Uila dichiarano che “il futuro della Colussi Spa di Petrignano non può che iniziare da qui con un riconoscimento reciproco e ascoltando più di ieri le voci dei lavoratori”. In una sua nota, anche l’azienda esprime soddisfazione, e oltre a ricordare il piano industriale da 80 milioni, ribadisce “la propria volontà di proseguire gli interventi utili a radicare e compenetrare sempre più la propria presenza sul territorio umbro come dimostrano i progetti di filiera che hanno già permesso di superare i 1.000 ettari coltivati a grano in Umbria impiegati nella produzione del Gruppo Colussi”.
“I lavoratori – dichiara Giacomo Leonelli, segretario e consigliere regionale PD – hanno scelto legittimamente, probabilmente ancora una volta anteponendo gli interessi di squadra ai propri interessi individuali. Per la comunità regionale questa vicenda, che riguarda un marchio storico dell’Umbria, si archivia comunque con un prezzo oneroso ma che nelle ultime settimane, prima della mobilitazione di lavoratori, sindacati e istituzioni locali, aveva raggiunto numeri dalle proporzioni insopportabili e irricevibili. Resta sullo sfondo il grande tema politico di come un marchio locale importante come quello Colussi abbia evidentemente ritenuto non troppo strategico il legame con il proprio territorio tanto da dover aprire una ferita comunque significativa nel tessuto regionale”
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