Cade proprio a un mese dall’arrivo dei 24 profughi eritrei accolti nella diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino l’appuntamento di preghiera per la pace in Eritrea del 27 luglio,. Un appuntamento da promuovere, come precisato dal vescovo diocesano, monsignor Domenico Sorrentino, con l’inserimento di “un’intenzione di preghiera nelle liturgie, creando un momento di riflessione e orazione, diffondendo la volontà di costruire la pace secondo lo ‘spirito di Assisi’”. Come di consueto religiosi e laici sono invitati a partecipare alla preghiera per la pace in Eritrea nei vari momenti e nelle celebrazioni eucaristiche della giornata. “Per il prossimo 27 luglio – rende noto il vescovo diocesano monsignor Domenico Sorrentino – , volendo tener fede all’impegno di unire ogni nostro slancio spirituale per la pace insieme alle altre religioni, mi viene spontaneo additarvi i fratelli e le sorelle che nei giorni scorsi abbiamo accolto in Assisi partecipando al progetto di accoglienza di migranti attraverso i “corridoi umanitari”. Si tratta di 24 persone, tra le quali 11 bambini, provenienti dall’Eritrea, una terra che vive un alito di speranza per la firma di un accordo di pace con la vicina Etiopia dopo 20 anni di un sanguinoso conflitto armato, ma che si trova comunque in condizioni di miseria a causa di un regime politico repressivo”.
Prima della preghiera per la pace in Eritrea, riceviamo e pubblichiamo anche una scheda sulla situazione in Eritrea a cura di Tonio Dell’Olio, presidente della Commissione diocesana per lo “spirito di Assisi”.
I poco più di 5 milioni di abitanti dell’Eritrea sembrano non trovare pace. Questa ex colonia italiana, a partire dal 1960 ha combattuto per trent’anni fino ad ottenere l’indipendenza politica dall’Etiopia nel 1993. Forse si tratta del più lungo conflitto del continente africano considerando che fino al 2000 in cui si apre ufficialmente un altro conflitto per lo status della città di Badme, non c’era stata una vera e propria pace, ma piuttosto una guerra di bassa intensità. Dal 2000 il conflitto si fa aspro e sanguinoso generando non solo morti, feriti, distruzioni e sofferenze ma una quantità sproporzionata di sfollati ed esuli. La crisi peraltro viene utilizzata dal governo eritreo per giustificare la violazione continua di diritti e garanzie democratiche. In particolare c’è la situazione del servizio militare prolungato per cui i cittadini eritrei tra i 18 e i 50 anni sulla base di direttive governative sullo ”stato di emergenza o di mobilitazione”, sono chiamati a prolungare il periodo di svolgimento del servizio nazionale. Nel 2002 un proclama governativo ha definitivamente esteso a tempo indeterminato la prestazione del servizio che di fatto si svolge per la difesa del territorio e per tutti i servizi collettivi ma in particolare per le aziende controllate dalla élite al governo. Manodopera giovane e a bassissimo costo. Inutile aggiungere che il salario è inferiore alle necessità familiari. Questo spinge gli abitanti a cercare fortuna all’estero impegnandosi in migrazioni pericolosissime che prevedono anche di venire catturati dai “predoni del Sinai”, vere e prorie mafie, che riducono in schiavitù, chiedono riscatti o utilizzano i corpi dei migranti per il traffico di organi umani. La firma dell’accordo di pace tra Abiy Ahmed, primo ministro etiope e Isaias Afwerki, presidente dell’Eritrea, apre una speranza di pace che la comunità internazionale è chiamata a sostenere. In particolare l’Italia per gli speciali legami che ha con l’Eritrea e i paesi del Corno d’Africa.
Foto in evidenza, http://www.perlapace.it
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