Sei mesi di stipendio per quattro ore di lavoro mancate è un risarcimento giusto? La domanda è posta dall’avvocato della dipendente comunale di Assisi licenziata per aver attestato falsamente – il 20, 22, 27 e 29 marzo del 2017, tra le cinque e le sei del pomeriggio – la sua presenza al lavoro. E la Corte dei Conti regionale stoppa il provvedimento (derivante dalla legge Madia), visto che i giudici non ritengono “manifestamente infondata” la domanda dell’avvocato, ma anzi “rilevante” per il procedimento.
Come emerso nei mesi scorsi, la procura della Corte dei Conti aveva chiesto la condanna a 20mila euro (l’equivalente di sei mesi di stipendio) in favore del Comune come danno di immagine, oltre al pagamento dei 64 euro equivalenti alle quattro ore di lavoro ‘mancate’ (che la dipendente comunale di Assisi licenziata ha sempre sostenuto di aver in realtà svolto saltando la pausa pranzo).
Ma la condanna è stata sospesa perché l’avvocato della donna ha sollevato in particolare la questione di costituzionalità dell’articolo 1 del Decreto legislativo 116 del 2016 (relativo ai licenziamenti nella pubblica amministrazione). Come riportano Nazione e Messaggero, l’eccezione è stata sollevata “sia perché la Legge 124/2015 (la Madia, ndr) non conteneva una delega al Governo per introdurre norma in materia di responsabilità contabile, sia perché la previsione di un danno, pari alla retribuzione di sei mesi, era assurda e sperequata rispetto ad assenze di poche decine di minuti”.
In buona sostanza, i giudici contabili irrogano una condanna sanzionatoria senza tenere conto dell’offensività in concreto della condotta posta in essere” e per il legale, la Corte avrebbe ritenuto la norma “eccessiva, sproporzionata e manifestamente irragionevole” e se la questione di illegittimità venisse accolta dalla Corte costituzionale, la norma che prevede il danno minimo di sei mesi verrebbe annullata. E non solo per la dipendente assisana, ma per tutti i dipendenti pubblici italiani.
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