La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della dipendente comunale licenziata per assenteismo. E si torna in corte d’appello. La dipendente ha infatti impugnato il licenziamento, sostenendo la nullità dell’atto in quanto deciso dalla stessa struttura per cui lavorava la donna, cioè il Comune di Assisi, violando il principio di terzietà del giudice. In primo grado il giudice del Tribunale di Perugia aveva respinto l’eccezione, mentre in appello, pur riconoscendo che il procedimento disciplinare era stato svolto da un dirigente diverso rispetto a quello dell’ufficio dove lavorava la dipendente, era stata riconosciuta l’eccezione.
Nello specifico, la Cassazione ha accolto il ricorso giudicando “errati i criteri in base ai quali la Corte d’appello aveva individuato il capo della struttura in persona diversa dal dirigente che aveva svolto il procedimento disciplinare”, rinviando alla Corte d’appello di Perugia per una nuova disamina del caso, “con la ragionevole speranza della lavoratrice di ottenere l’annullamento del licenziamento e la ripresa del posto di lavoro”, precisa l’avvocato Siro Centofanti, che ha difeso la donna, a Perugia Today.
Da parte sua l’amministrazione comunale di Assisi fa sapere che “continuerà ad adottare ogni iniziativa a difesa delle proprie decisioni e del proprio operato in merito alla vicenda della dipendente comunale licenziata nel settembre del 2017 per assenteismo che ha innescato tre giudizi, uno penale, uno del lavoro e uno contabile. E soprattutto ribadisce, anche alla luce dell’ennesimo atto giudiziario, la piena e completa legittimità del resto già affermata sia nel primo che nel secondo grado di giudizio del lavoro, così come dai responsi della Corte dei Conti”.
“L’amministrazione comunale, nel rispetto delle prerogative degli organi giurisdizionali che saranno chiamati ancora a esprimersi sulla questione e rispettando come ha sempre fatto qualsiasi decisione, ribadisce che la sua attività è stata, e lo è tuttora, indirizzata a contestare e combattere ogni forma di assenteismo. Al di là di vizi formali e/o procedurali l’amministrazione comunale ritiene nella sostanza che il rispetto delle regole e del lavoro debba essere sempre osservato, e che in nessuna azienda, privata o pubblica che sia, debbano essere tollerati i furbetti del cartellino. L’amministrazione, dopo la pronuncia della Corte di Cassazione, attenderà la nuova valutazione dei giudici, se ci saranno da correggere aspetti formali della procedura disciplinare lo farà, ma questo non scalfisce le ragioni e la legittimità del licenziamento della dipendente comunale”.
Nel 2020 si era chiuso con un non luogo a procedere che conferma le motivazioni della sentenza di primo grado il processo di appello (penale) nei confronti della dipendente comunale licenziata nel 2017 dal Comune di Assisi (senza attendere il processo, come da Legge Madia) dopo un’indagine dei carabinieri che aveva dimostrato come l’ex dipendente dell’ufficio turismo sarebbe per quattro volte uscita prima dal lavoro per andare in palestra. Il processo penale era per l’erronea certificazione delle quattro ore, dovuta al fatto che all’ufficio turismo, dove l’ex dipendente comunale lavorava, non c’era un marcatempo e le ‘scartoffie’ venivano compilate anche giorni dopo.
Come noto dalle indagini del 2017, partite da una soffiata anonima, era nata una causa che si era divisa in tre “tronconi”: oltre a quello penale, erano stati coinvolti anche il giudice del lavoro e la Corte Costituzionale, interpellata se fosse equo pagare una mancanza di poche decine di minuti con sei mesi di stipendio (e dopo che la giovane, come detto, ha risarcito l’Ente dei 64 euro che le sono stati contestati). Con una sentenza valida in tutta Italia, la Corte aveva “cassato” i sei mesi di stipendio quale risarcimento, invitando il giudice a determinare “il danno in concreto, che si presume pari al doppio del danno patrimoniale”.
Foto di Tingey Injury Law Firm | via Unsplash
(Ultimo aggiornamento delle 17)
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